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Asta 018 del 26/02/2022

dettaglio asta
  • Lotto 76  

    Chiarolanza Giuseppe

    Chiarolanza Giuseppe (Miano, NA 1864 - Napoli 1920) Notturno 1900
    olio su tela
    firma e data: in basso a destra
    misure: cm 54 x 103,5

    Membro purtroppo della folta schiera di artisti a lungo dimenticati dalla critica novecentesca, Giuseppe Chiarolanza studiò al Real Istituto di Belle Arti di Napoli fin dal 1881, e ivi diventò allievo prediletto del paesaggista Alfonso Simonetti; dedicandosi dunque come assai spesso accadeva allo stesso genere del proprio maestro, il Chiarolanza indirizzò presto la propria ricerca verso la pittura di paesaggio, e le fonti ne lodano la perizia nella rappresentazione di alberi e boschi, fra cui spiccano varie e più o meno celebri raffigurazioni del bosco di Capodimonte. Fra queste ultime è significativo che una fosse dedicata ed appartenesse effettivamente a Raffaele Belliazzi, membro della Scuola di Resina, poiché sono gli stilemi di quest’ultima che il Chiarolanza, attento osservatore del vero naturale e soprattutto delle variazioni della luce nel paesaggio, poi tradotte in una pittura di macchia, pare proseguire.
    L’opera proposta nel rispetto delle peculiarità del proprio autore appena succitate nonché nel generale e forte afflato malinconico potrebbe in effetti ricollegarsi alle produzione degli artisti porticesi (si pensi a certi dipinti di Federico Rossano), non scevra tuttavia di un certo lirismo (tipicamente proprio del resto del notturno) che potrebbe risalire la storia dell’arte partenopea dell’Ottocento fino alla grande Scuola di Posillipo. Un ulteriore, possibile modello infine potrebbe ricercarsi nel grande maestro del vero naturale del tempo, ovvero Filippo Palizzi, qualora si volesse accostare la rupe ritratta dal Chiarolanza con quella celebre “roccia di Sorrento” su cui appunto Palizzi adagiò la sua sognante popolana, ispiratrice più di un secolo dopo della bella statua raffigurante la “Spigolatrice di Sapri” che oggi possiamo ammirare sullo scoglio dello Scialandro.
    STIMA:
    min € 2000 - max € 3000
    Base Asta:
    € 1000

  • Lotto 77  

    Irolli Vincenzo

    Irolli Vincenzo (Napoli 1860 - 1949) Bimba nella neve
    olio su tela
    firma: in basso a sinistra
    misure: cm 60 x 50

    Vincenzo Irolli fu l’ultimo, vero artista appartenente alla grande tradizione ottocentesca locale in grado di trascinare quest’ultima fino alla metà del secolo successivo, e questo suo viscerale amore fu inviso a molti, a coloro cioè che ansiosi di aggiornare gli ambienti culturali partenopei alle nuove tendenze italiane e straniere mal vedevano quelle gioiose ma ostinate sopravvivenze del realismo e del colorismo cui fu caratteristicamente improntata la pittura napoletana e meridionale della seconda metà del diciannovesimo secolo. Insomma Irolli tardò molto ad affermarsi presso la critica locale, riuscendovi solo intorno alla fine del primo conflitto mondiale, mentre paradossalmente il suo successo presso i collezionisti, locali (evidentemente incuranti dei conterranei teorici militanti) o stranieri che fossero, non ebbe mai modo di arrestarsi fin dai suoi esordi pittorici. Il giovane Vincenzo sviluppò grande interesse per le arti quando, come riporta il Giannelli, ebbe modo di visitare la fondamentale Esposizione nazionale tenutasi a Napoli nel 1877, ove egli ammirò la “Processione del Corpus Domini” di Michetti, i “Parassiti” di D'Orsi e le prime prove pittoriche di Antonio Mancini, che in quella occasione esponeva “Ama il prossimo tuo come te stesso” e “Figli di un operaio”; a quel punto il nostro prese la decisione d’iscriversi all’Accademia di Belle Arti locale, divenendo allievo dapprima di Antonio Licata e Federico Maldarelli ed in un secondo momento di Gioacchino Toma e Stanislao Lista. L’attenzione alle opere manciniane va comunque sottolineata perché ha dato adito nel tempo ad una lunga querelle ancora una volta fra vari critici circa la sostanziale o meno originalità dell’Irolli, secondo alcuni appunto troppo improntato nel proprio stile su certi esiti del Mancini: a tale questione pare porre un punto definitivo Luigi Manzi nella sua nota ed ampiamente documentata biografia del nostro artista. La genuina spontaneità di Irolli, felicemente sottolineata dal Manzi, emerge con variabile efficacia da una ricchissima produzione di genere incentrata su fanciulli, sorridenti figure femminili o entrambi questi soggetti, composti in episodi tipici della maternità assai teneri e di immediata piacevolezza, nonché di «rutilante vivacità cromatica, grazie a una tecnica pittorica abilissima nell'alternare effetti di minuta e puntuale verosimiglianza ottica con più libere deposizioni materiche di colore, in una fantasia di macchie e di contrasti luminosi» (Monica Vinardi). La tela (spessa, come piaceva all’autore) proposta in asta è certo ascrivibile a questo filone irolliano, sebbene tradisca l’adozione di un linguaggio più fluido e rapido, databile almeno agli anni ’20 del Novecento e concretizzato in pennellate larghe e piatte, senza ritorni, che per Rosario Caputo «lasciano il colore fresco e brillante» mentre per Alfredo Schettini rischiano di operare di fatto «una semplificazione nella quale, inavvertitamente, scapitavano le innate qualità formali e l’equilibrio totale del colore». La preparazione arancio, cara ad Irolli, qui si fa parte attiva della composizione nel restituire la luce del primo mattino che modella le nubi in allontanamento dopo la nevicata notturna, e gli alberi spogli sono appena accennati dal gesto pittorico, lasciandone il completamento percettivo agli occhi dell’osservatore: questi sono segni identificativi di un indiscutibile Maestro. Il dipinto proposto, che riprende chiaramente il soggetto della celebre opera in copertina della succitata biografia di Luigi Manzi, si pone con quella tela nel medesimo rapporto sussistente ad esempio fra “Piazza San Marco” e “Caffè Florian” (anche in quest’ultimo caso non tutta la tela viene coperta dalla materia pittorica), secondo un uso comune di Irolli di ripetersi anche a diversi anni di distanza. L’altro olio in asta, curiosamente realizzato su pelle poiché parte originariamente di una tipica tamburella napoletana, segue stilemi irolliani ancora tardo-ottocenteschi ed è dedicato ad un non ben identificabile Marchese Rivellini, testimoniando dunque il proprio passaggio in una prestigiosa collezione privata del beneventano (la nobile famiglia proveniva infatti da Vitulano).
    STIMA:
    min € 10000 - max € 12000
    Base Asta:
    € 5000

  • Lotto 78  

    Irolli Vincenzo

    Irolli Vincenzo (Napoli 1860 - 1949) Prosit 1916
    olio su pelle
    firma e data: in alto a sinistra
    misure: diametro cm 28
    STIMA:
    min € 2500 - max € 3000
    Base Asta:
    € 1500

  • Lotto 79  

    Esposito Gaetano

    Esposito Gaetano (Salerno 1858 - Sala Consilina, SA 1911) Volto femminile
    matita grassa su carta
    firma: in basso a destra
    misure: cm 47 x 32
    osservazioni: a tergo bozzetto dell'opera
    STIMA:
    min € 800 - max € 1200
    Base Asta:
    € 350

  • Lotto 80  

    Tofano Edoardo

    Tofano Edoardo (Napoli 1838 - Roma 1920) Dama
    acquerello su carta
    firma: in basso a sinistra
    misure: cm 30 x 18
    STIMA:
    min € 1200 - max € 1500
    Base Asta:
    € 600

  • Lotto 81  

    Carelli Consalvo

    Carelli Consalvo (Napoli 1818 - 1900) Ritorno da Montevergine
    olio su tela
    firma: in basso a destra
    misure: cm 63,5 x 38,5

    Nato sulla collina dell’Arenella, nella stessa casa che si dice fosse stata di Salvator Rosa, Gonsalvo Carelli pure parve destinato a compiere grandi cose in campo artistico: primogenito di una famiglia tutta di artisti, egli infatti appena dodicenne cominciò la propria attività espositiva, subito ottenendo peraltro una medaglia d’argento; tale evento, più unico che raro, pare addirittura che gettasse un qualche scompiglio in famiglia, se è vero che certi malignarono circa una presunta superiorità del fanciullo sull’arte del padre Raffaele, suo maestro ma soprattutto pittore al tempo già maturo e di grande esperienza. Fatto sta che Gonsalvo, ancora assai giovane, approfittò di un pensionato per stabilirsi in Roma, ove fu a breve raggiunto dal fratello Gabriele (del più piccolo dei tre, Achille, si hanno ben poche notizie) e dove, frequentando Bartolomeo Pinelli, il nostro poté perfezionare la tecnica dell’acquerello e dello schizzo a penna; a Roma, soprattutto, il Carelli conobbe e fraternizzò con gli allievi dell’Accademia di Francia, forse il primo, vero contatto con ambienti artistici esteri che il nostro ebbe poi modo di frequentare a lungo nel corso della sua vita, ricevendo prestigiose commissioni ed attestati di stima da nobili e sovrani: a Parigi negli anni Quaranta del diciannovesimo secolo per intercessione della regina madre Isabella di Borbone, ad esempio, e colà protetto da Maria Amelia di Francia, Gonsalvo finì poi per dipingere finanche per lo zar di Russia. I favori reali comunque non durarono eternamente, poiché allo studio dell’arte sua Carelli affiancò un testardo impegno politico, partecipando pare prima alle Cinque giornate milanesi e poi combattendo (notizie certa) insieme a Garibaldi e i suoi: il nostro insomma fu costretto per più di un decennio ad una vita peregrina per sfuggire alla polizia borbonica, e sono nel tardo Ottocento egli riuscì a tornare in patria, trovando peraltro un ambiente artistico scosso da tendenze nuove e ben diverse dal suo tradizionale fare pittorico. Le opere del Carelli infatti sono generalmente tutte di composizione, ove cioè elementi certo ripresi dal vero naturale sono composti con una fervida e prolifica immaginazione in scene di assoluta invenzione (secondo i dittami insomma del paesaggismo ancora tardo-settecentesco e ben distante da quanto andavano facendo già dalla metà del diciannovesimo secolo i fratelli Palizzi), e l’opera proposta non fa certo eccezione: il carretto sovraccarico di un vasto catalogo di tipi popolari torna infatti con poche variazioni in più opere dall’autore e di altri membri della sua famiglia, sebbene in questo caso la cura profusa nella sua più minuziosa raffigurazione sia straordinaria; questo soggetto ricorda inoltre la collaborazione che il Carelli intrattenne per un certo tempo con Salvatore Di Giacomo, realizzando l’artista le illustrazioni di alcuni testi di quest’ultimo, e traduce su tela la diffusa tradizione popolare della «juta» (da «sajuta») a Montevergine, pellegrinaggio al celebre santuario mariano da compiersi rigorosamente in carretto, fermandosi di tanto in tanto in tappe ove i locali avellinesi offrono accoglienza e ristoro ai viandanti.
    STIMA:
    min € 5000 - max € 6000
    Base Asta:
    € 3000

  • Lotto 82  

    De Maria Francesco

    De Maria Francesco (Napoli 1844 - 1908) Popolana
    acquerello su carta
    firma: in basso a destra
    misure: cm 49 x 38
    STIMA:
    min € 600 - max € 800
    Base Asta:
    € 300

  • Lotto 83  

    De Vivo Tommaso

    De Vivo Tommaso (Orta di Atella, CE 1790 ca - Napoli 1884) Costume tipico
    olio su tavola
    firma: in basso a destra
    misure: cm 27 x 36
    STIMA:
    min € 700 - max € 800
    Base Asta:
    € 350

  • Lotto 84  

    Carelli Raffaele

    Carelli Raffaele (Monopoli, BA 1795 - Napoli 1864) Pescatore 1818
    acquerello su carta
    firma e data: in basso a sinistra
    misure: cm 27 x 19
    STIMA:
    min € 500 - max € 600
    Base Asta:
    € 250

  • Lotto 85  

    Ruggiero Pasquale

    Ruggiero Pasquale (San Marzano sul Sarno, SA 1851 - Napoli 1915) Seduzione
    olio su tela
    firma: in basso a sinistra
    misure: cm 24 x 33
    STIMA:
    min € 1500 - max € 2000
    Base Asta:
    € 800

  • Lotto 86  

    Dalbono Edoardo

    Dalbono Edoardo (Napoli 1841 - 1915) Mercato a Via Tribunali
    acquerello su carta
    firma: in basso a destra
    misure: cm 46 x 32
    osservazioni: a tergo timbro galleria Fogliato

    Nato in una famiglia benestante (evento meno comune di quanto si pensi per un artista del diciannovesimo secolo) e già addentro al mondo dell’arte (il padre Carlo Tito e lo zio Cesare furono letterati e critici), Edoardo Dalbono poté attingere fin da giovanissimo al vasto materiale presente in casa propria e soprattutto gli fu concesso approfittare della fitta rete di contatti che i suoi avevano nel tempo tessuto con vari, grandi artisti dell’epoca: appresi i primissimi rudimenti in Roma da Augusto Marchetti e Nicola Consoni, nella sua città natale Napoli il nostro studiò prima sotto il pittore d’Elia (o De Lia) e più tardi prese a frequentare lo studio di Nicola Palizzi e Giuseppe Mancinelli, mentre faceva la conoscenza dei vari posillipisti ancora in vita a casa della famiglia Carelli. L’elencazione di tanti personaggi illustri non è qui vana, poiché spiega esattamente i molteplici spunti che Edoardo ricevette nel corso della sua formazione da altrettante esperienze artistiche, improntando così la propria ricerca personale su direzioni talvolta anche assai distanti fra loro. Considerato infatti già al tempo (e argutamente) un tardo continuatore della grande Scuola di Posillipo, coi rappresentanti della quale certo Dalbono condivise uno spirito altamente lirico, sconfinando talvolta con un gusto tutto suo nel fantastico vero e proprio (si pensi al grande capolavoro dell’artista, “La leggenda delle Sirene”), il nostro s’interessò pure alla pura di macchia tipica della Scuola di Resina, frequentando fra l’altro per i propri studi e dipinti gli stessi luoghi in cui si recava generalmente proprio il gruppo di Portici; d’altro canto Edoardo stesso lodava in accorate missive Domenico Morelli, che notoriamente ai porticesi era avverso, e le innovazioni che il grande maestro andava apportando in pittura, spesso identificate con grande sottigliezza e sensibilità. Fu comunque Morelli stesso o forse Giuseppe De Nittis a presentare il nostro ad Adolphe Goupil, con conseguente stipula di un contratto durato otto o nove anni, fino alla morte del celebre mercante francese. Oltralpe, comunque, Dalbono non soggiornò mai a lungo, provando una profonda malinconia e mancanza della propria, adorata città, come si evince da varie sue lettere: questo legame pare in effetti fosse assai viscerale, come se ne incontrano di rado, e probabilmente va fatto risalire già alla più tenera età dell’artista, quand’egli ascoltava le composizioni poetiche popolaresche del padre, profondamente radicate nelle tradizioni e nei costumi partenopei. Anche l’opera proposta rientra chiaramente nella produzione che l’autore ha per tutta la sua carriera dedicato alla propria città, raffigurando un mercatino che evidentemente doveva abitualmente tenersi sotto i portici di Via Tribunali, con svettante sullo sfondo il romanico campanile della Pietrasanta, eretto nel corso del secolo undicesimo riutilizzando elementi del preesistente tempio romano della dea Diana; il porticato invece potrebbe identificarsi con quello gotico di Palazzo d’Angiò, “assemblato” da costruzioni più antiche nel Trecento e nel tempo proprietà di volta in volta di varie famiglie nobili cittadine, fino ad ospitare per un certo periodo finanche l’Accademia Pontaniana. Le protagoniste della scena sono come spesso accade fra le opere di Dalbono esclusivamente donne, schiettamente popolaresche e vagamente seducenti nella loro procace femminilità. Caso non isolato nella produzione dalboniana, l’opera in asta costituisce infine una versione ad acquerello di un soggetto già noto, presente ad olio su tela e di simili dimensioni nella prestigiosa collezione pescarese Di Persio e datata con accreditabile ipotesi fra gli anni Settanta ed Ottanta del diciannovesimo secolo.
    STIMA:
    min € 2000 - max € 3000
    Base Asta:
    € 1000

  • Lotto 87  

    Caprile Vincenzo

    Caprile Vincenzo (Napoli 1856 - 1936) Bambina 1878
    olio su tela applicata a cartone
    firma e data: in basso a destra
    misure: cm 67 x 35
    STIMA:
    min € 2500 - max € 3000
    Base Asta:
    € 1200

  • Lotto 88  

    Cercone Ettore

    Cercone Ettore (Messina 1850 - Sorrento, NA 1896) Odalisca
    olio su tela
    firma: in alto a sinistra
    misure: cm 100 x 70
    STIMA:
    min € 3000 - max € 3500
    Base Asta:
    € 1600

  • Lotto 89  

    de Sanctis Giuseppe

    De Sanctis Giuseppe (Napoli 1858 - 1924) Profilo femminile
    olio su tela
    firma: in basso a sinistra
    misure: cm 50 x 31

    Solo grandi cose potevano attendere colui che fu tenuto a battessimo addirittura dal grande Giuseppe Verdi, ed in effetti la carriera di Giuseppe de Sanctis fu costellata di successi ed apprezzamenti, in particolare nella natia Napoli, ove la mano del pittore è ancora visibile in alcuni decorazioni del Gran Caffè Gambrinus (noto cantiere per tanti artisti locali nel tardo Ottocento) nonché del Circolo Artistico Politecnico, che il nostro frequentò assai assiduamente lasciando splendidi ricordi negli altri avventori.
    Indirizzato inizialmente alle scene di composizione storica o orientale, seguendo l’evoluzione dell’arte del suo grande maestro Domenico Morelli, de Sanctis risentì poi fortemente delle tendenze diffuse al suo tempo in Francia ed Inghilterra, ove il pittore viaggiò molto incontrando personaggi del calibro di Gérôme e Alma-Tadema, nonché il celeberrimo mercante Goupil.
    L’opera proposta ben esemplifica un altro grande talento che poi il suo autore sviluppò nel corso della propria carriera, ovvero la grande abilità nel ritratto: pur non potendo infatti risalire con certezza alla fanciulla di schietta bellezza qui ritratta, è magistrale la resa dei suoi lineamenti e del suo cipiglio, pensieroso e severo ad un tempo. Ancora più sorprendente è la grande modernità che spicca nella porzione inferiore della tela, ove le vesti della modella sono panneggiate con grande sintesi pittorica, a ricordare la rapidità d’esecuzione ai tempi del de Sanctis di gran moda nei territori d’Oltralpe fra gli altri artisti suoi conterranei o stranieri.
    STIMA:
    min € 2000 - max € 3000
    Base Asta:
    € 1000

  • Lotto 90  

    Migliaro Vincenzo

    Migliaro Vincenzo (Napoli 1858 - 1938) Luciana
    olio su tela
    firma: in basso a destra
    misure: cm 32 x 24
    osservazioni: a tergo timbro galleria Giosi
    STIMA:
    min € 2500 - max € 3000
    Base Asta:
    € 1500

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  • Lotto 76  

    Chiarolanza Giuseppe

    Notturno 1900
    olio su tela
    firma e data: in basso a destra
    misure: cm 54 x 103,5

    Membro purtroppo della folta schiera di artisti a lungo dimenticati dalla critica novecentesca, Giuseppe Chiarolanza studiò al Real Istituto di Belle Arti di Napoli fin dal 1881, e ivi diventò allievo prediletto del paesaggista Alfonso Simonetti; dedicandosi dunque come assai spesso accadeva allo stesso genere del proprio maestro, il Chiarolanza indirizzò presto la propria ricerca verso la pittura di paesaggio, e le fonti ne lodano la perizia nella rappresentazione di alberi e boschi, fra cui spiccano varie e più o meno celebri raffigurazioni del bosco di Capodimonte. Fra queste ultime è significativo che una fosse dedicata ed appartenesse effettivamente a Raffaele Belliazzi, membro della Scuola di Resina, poiché sono gli stilemi di quest’ultima che il Chiarolanza, attento osservatore del vero naturale e soprattutto delle variazioni della luce nel paesaggio, poi tradotte in una pittura di macchia, pare proseguire.
    L’opera proposta nel rispetto delle peculiarità del proprio autore appena succitate nonché nel generale e forte afflato malinconico potrebbe in effetti ricollegarsi alle produzione degli artisti porticesi (si pensi a certi dipinti di Federico Rossano), non scevra tuttavia di un certo lirismo (tipicamente proprio del resto del notturno) che potrebbe risalire la storia dell’arte partenopea dell’Ottocento fino alla grande Scuola di Posillipo. Un ulteriore, possibile modello infine potrebbe ricercarsi nel grande maestro del vero naturale del tempo, ovvero Filippo Palizzi, qualora si volesse accostare la rupe ritratta dal Chiarolanza con quella celebre “roccia di Sorrento” su cui appunto Palizzi adagiò la sua sognante popolana, ispiratrice più di un secolo dopo della bella statua raffigurante la “Spigolatrice di Sapri” che oggi possiamo ammirare sullo scoglio dello Scialandro.
    STIMA min € 2000 - max € 3000

    Lotto 76  

    Chiarolanza Giuseppe

    Chiarolanza Giuseppe (Miano, NA 1864 - Napoli 1920) Notturno 1900
    olio su tela
    firma e data: in basso a destra
    misure: cm 54 x 103,5

    Membro purtroppo della folta schiera di artisti a lungo dimenticati dalla critica novecentesca, Giuseppe Chiarolanza studiò al Real Istituto di Belle Arti di Napoli fin dal 1881, e ivi diventò allievo prediletto del paesaggista Alfonso Simonetti; dedicandosi dunque come assai spesso accadeva allo stesso genere del proprio maestro, il Chiarolanza indirizzò presto la propria ricerca verso la pittura di paesaggio, e le fonti ne lodano la perizia nella rappresentazione di alberi e boschi, fra cui spiccano varie e più o meno celebri raffigurazioni del bosco di Capodimonte. Fra queste ultime è significativo che una fosse dedicata ed appartenesse effettivamente a Raffaele Belliazzi, membro della Scuola di Resina, poiché sono gli stilemi di quest’ultima che il Chiarolanza, attento osservatore del vero naturale e soprattutto delle variazioni della luce nel paesaggio, poi tradotte in una pittura di macchia, pare proseguire.
    L’opera proposta nel rispetto delle peculiarità del proprio autore appena succitate nonché nel generale e forte afflato malinconico potrebbe in effetti ricollegarsi alle produzione degli artisti porticesi (si pensi a certi dipinti di Federico Rossano), non scevra tuttavia di un certo lirismo (tipicamente proprio del resto del notturno) che potrebbe risalire la storia dell’arte partenopea dell’Ottocento fino alla grande Scuola di Posillipo. Un ulteriore, possibile modello infine potrebbe ricercarsi nel grande maestro del vero naturale del tempo, ovvero Filippo Palizzi, qualora si volesse accostare la rupe ritratta dal Chiarolanza con quella celebre “roccia di Sorrento” su cui appunto Palizzi adagiò la sua sognante popolana, ispiratrice più di un secolo dopo della bella statua raffigurante la “Spigolatrice di Sapri” che oggi possiamo ammirare sullo scoglio dello Scialandro.


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  • Lotto 77  

    Irolli Vincenzo

    Bimba nella neve
    olio su tela
    firma: in basso a sinistra
    misure: cm 60 x 50

    Vincenzo Irolli fu l’ultimo, vero artista appartenente alla grande tradizione ottocentesca locale in grado di trascinare quest’ultima fino alla metà del secolo successivo, e questo suo viscerale amore fu inviso a molti, a coloro cioè che ansiosi di aggiornare gli ambienti culturali partenopei alle nuove tendenze italiane e straniere mal vedevano quelle gioiose ma ostinate sopravvivenze del realismo e del colorismo cui fu caratteristicamente improntata la pittura napoletana e meridionale della seconda metà del diciannovesimo secolo. Insomma Irolli tardò molto ad affermarsi presso la critica locale, riuscendovi solo intorno alla fine del primo conflitto mondiale, mentre paradossalmente il suo successo presso i collezionisti, locali (evidentemente incuranti dei conterranei teorici militanti) o stranieri che fossero, non ebbe mai modo di arrestarsi fin dai suoi esordi pittorici. Il giovane Vincenzo sviluppò grande interesse per le arti quando, come riporta il Giannelli, ebbe modo di visitare la fondamentale Esposizione nazionale tenutasi a Napoli nel 1877, ove egli ammirò la “Processione del Corpus Domini” di Michetti, i “Parassiti” di D'Orsi e le prime prove pittoriche di Antonio Mancini, che in quella occasione esponeva “Ama il prossimo tuo come te stesso” e “Figli di un operaio”; a quel punto il nostro prese la decisione d’iscriversi all’Accademia di Belle Arti locale, divenendo allievo dapprima di Antonio Licata e Federico Maldarelli ed in un secondo momento di Gioacchino Toma e Stanislao Lista. L’attenzione alle opere manciniane va comunque sottolineata perché ha dato adito nel tempo ad una lunga querelle ancora una volta fra vari critici circa la sostanziale o meno originalità dell’Irolli, secondo alcuni appunto troppo improntato nel proprio stile su certi esiti del Mancini: a tale questione pare porre un punto definitivo Luigi Manzi nella sua nota ed ampiamente documentata biografia del nostro artista. La genuina spontaneità di Irolli, felicemente sottolineata dal Manzi, emerge con variabile efficacia da una ricchissima produzione di genere incentrata su fanciulli, sorridenti figure femminili o entrambi questi soggetti, composti in episodi tipici della maternità assai teneri e di immediata piacevolezza, nonché di «rutilante vivacità cromatica, grazie a una tecnica pittorica abilissima nell'alternare effetti di minuta e puntuale verosimiglianza ottica con più libere deposizioni materiche di colore, in una fantasia di macchie e di contrasti luminosi» (Monica Vinardi). La tela (spessa, come piaceva all’autore) proposta in asta è certo ascrivibile a questo filone irolliano, sebbene tradisca l’adozione di un linguaggio più fluido e rapido, databile almeno agli anni ’20 del Novecento e concretizzato in pennellate larghe e piatte, senza ritorni, che per Rosario Caputo «lasciano il colore fresco e brillante» mentre per Alfredo Schettini rischiano di operare di fatto «una semplificazione nella quale, inavvertitamente, scapitavano le innate qualità formali e l’equilibrio totale del colore». La preparazione arancio, cara ad Irolli, qui si fa parte attiva della composizione nel restituire la luce del primo mattino che modella le nubi in allontanamento dopo la nevicata notturna, e gli alberi spogli sono appena accennati dal gesto pittorico, lasciandone il completamento percettivo agli occhi dell’osservatore: questi sono segni identificativi di un indiscutibile Maestro. Il dipinto proposto, che riprende chiaramente il soggetto della celebre opera in copertina della succitata biografia di Luigi Manzi, si pone con quella tela nel medesimo rapporto sussistente ad esempio fra “Piazza San Marco” e “Caffè Florian” (anche in quest’ultimo caso non tutta la tela viene coperta dalla materia pittorica), secondo un uso comune di Irolli di ripetersi anche a diversi anni di distanza. L’altro olio in asta, curiosamente realizzato su pelle poiché parte originariamente di una tipica tamburella napoletana, segue stilemi irolliani ancora tardo-ottocenteschi ed è dedicato ad un non ben identificabile Marchese Rivellini, testimoniando dunque il proprio passaggio in una prestigiosa collezione privata del beneventano (la nobile famiglia proveniva infatti da Vitulano).
    STIMA min € 10000 - max € 12000

    Lotto 77  

    Irolli Vincenzo

    Irolli Vincenzo (Napoli 1860 - 1949) Bimba nella neve
    olio su tela
    firma: in basso a sinistra
    misure: cm 60 x 50

    Vincenzo Irolli fu l’ultimo, vero artista appartenente alla grande tradizione ottocentesca locale in grado di trascinare quest’ultima fino alla metà del secolo successivo, e questo suo viscerale amore fu inviso a molti, a coloro cioè che ansiosi di aggiornare gli ambienti culturali partenopei alle nuove tendenze italiane e straniere mal vedevano quelle gioiose ma ostinate sopravvivenze del realismo e del colorismo cui fu caratteristicamente improntata la pittura napoletana e meridionale della seconda metà del diciannovesimo secolo. Insomma Irolli tardò molto ad affermarsi presso la critica locale, riuscendovi solo intorno alla fine del primo conflitto mondiale, mentre paradossalmente il suo successo presso i collezionisti, locali (evidentemente incuranti dei conterranei teorici militanti) o stranieri che fossero, non ebbe mai modo di arrestarsi fin dai suoi esordi pittorici. Il giovane Vincenzo sviluppò grande interesse per le arti quando, come riporta il Giannelli, ebbe modo di visitare la fondamentale Esposizione nazionale tenutasi a Napoli nel 1877, ove egli ammirò la “Processione del Corpus Domini” di Michetti, i “Parassiti” di D'Orsi e le prime prove pittoriche di Antonio Mancini, che in quella occasione esponeva “Ama il prossimo tuo come te stesso” e “Figli di un operaio”; a quel punto il nostro prese la decisione d’iscriversi all’Accademia di Belle Arti locale, divenendo allievo dapprima di Antonio Licata e Federico Maldarelli ed in un secondo momento di Gioacchino Toma e Stanislao Lista. L’attenzione alle opere manciniane va comunque sottolineata perché ha dato adito nel tempo ad una lunga querelle ancora una volta fra vari critici circa la sostanziale o meno originalità dell’Irolli, secondo alcuni appunto troppo improntato nel proprio stile su certi esiti del Mancini: a tale questione pare porre un punto definitivo Luigi Manzi nella sua nota ed ampiamente documentata biografia del nostro artista. La genuina spontaneità di Irolli, felicemente sottolineata dal Manzi, emerge con variabile efficacia da una ricchissima produzione di genere incentrata su fanciulli, sorridenti figure femminili o entrambi questi soggetti, composti in episodi tipici della maternità assai teneri e di immediata piacevolezza, nonché di «rutilante vivacità cromatica, grazie a una tecnica pittorica abilissima nell'alternare effetti di minuta e puntuale verosimiglianza ottica con più libere deposizioni materiche di colore, in una fantasia di macchie e di contrasti luminosi» (Monica Vinardi). La tela (spessa, come piaceva all’autore) proposta in asta è certo ascrivibile a questo filone irolliano, sebbene tradisca l’adozione di un linguaggio più fluido e rapido, databile almeno agli anni ’20 del Novecento e concretizzato in pennellate larghe e piatte, senza ritorni, che per Rosario Caputo «lasciano il colore fresco e brillante» mentre per Alfredo Schettini rischiano di operare di fatto «una semplificazione nella quale, inavvertitamente, scapitavano le innate qualità formali e l’equilibrio totale del colore». La preparazione arancio, cara ad Irolli, qui si fa parte attiva della composizione nel restituire la luce del primo mattino che modella le nubi in allontanamento dopo la nevicata notturna, e gli alberi spogli sono appena accennati dal gesto pittorico, lasciandone il completamento percettivo agli occhi dell’osservatore: questi sono segni identificativi di un indiscutibile Maestro. Il dipinto proposto, che riprende chiaramente il soggetto della celebre opera in copertina della succitata biografia di Luigi Manzi, si pone con quella tela nel medesimo rapporto sussistente ad esempio fra “Piazza San Marco” e “Caffè Florian” (anche in quest’ultimo caso non tutta la tela viene coperta dalla materia pittorica), secondo un uso comune di Irolli di ripetersi anche a diversi anni di distanza. L’altro olio in asta, curiosamente realizzato su pelle poiché parte originariamente di una tipica tamburella napoletana, segue stilemi irolliani ancora tardo-ottocenteschi ed è dedicato ad un non ben identificabile Marchese Rivellini, testimoniando dunque il proprio passaggio in una prestigiosa collezione privata del beneventano (la nobile famiglia proveniva infatti da Vitulano).


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  • Lotto 78  

    Irolli Vincenzo

    Prosit 1916
    olio su pelle
    firma e data: in alto a sinistra
    misure: diametro cm 28
    STIMA min € 2500 - max € 3000

    Lotto 78  

    Irolli Vincenzo

    Irolli Vincenzo (Napoli 1860 - 1949) Prosit 1916
    olio su pelle
    firma e data: in alto a sinistra
    misure: diametro cm 28


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  • Lotto 79  

    Esposito Gaetano

    Volto femminile
    matita grassa su carta
    firma: in basso a destra
    misure: cm 47 x 32
    osservazioni: a tergo bozzetto dell'opera
    STIMA min € 800 - max € 1200

    Lotto 79  

    Esposito Gaetano

    Esposito Gaetano (Salerno 1858 - Sala Consilina, SA 1911) Volto femminile
    matita grassa su carta
    firma: in basso a destra
    misure: cm 47 x 32
    osservazioni: a tergo bozzetto dell'opera


    1 offerte pre-asta Dettaglio
  • Lotto 80  

    Tofano Edoardo

    Dama
    acquerello su carta
    firma: in basso a sinistra
    misure: cm 30 x 18
    STIMA min € 1200 - max € 1500

    Lotto 80  

    Tofano Edoardo

    Tofano Edoardo (Napoli 1838 - Roma 1920) Dama
    acquerello su carta
    firma: in basso a sinistra
    misure: cm 30 x 18


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  • Lotto 81  

    Carelli Consalvo

    Ritorno da Montevergine
    olio su tela
    firma: in basso a destra
    misure: cm 63,5 x 38,5

    Nato sulla collina dell’Arenella, nella stessa casa che si dice fosse stata di Salvator Rosa, Gonsalvo Carelli pure parve destinato a compiere grandi cose in campo artistico: primogenito di una famiglia tutta di artisti, egli infatti appena dodicenne cominciò la propria attività espositiva, subito ottenendo peraltro una medaglia d’argento; tale evento, più unico che raro, pare addirittura che gettasse un qualche scompiglio in famiglia, se è vero che certi malignarono circa una presunta superiorità del fanciullo sull’arte del padre Raffaele, suo maestro ma soprattutto pittore al tempo già maturo e di grande esperienza. Fatto sta che Gonsalvo, ancora assai giovane, approfittò di un pensionato per stabilirsi in Roma, ove fu a breve raggiunto dal fratello Gabriele (del più piccolo dei tre, Achille, si hanno ben poche notizie) e dove, frequentando Bartolomeo Pinelli, il nostro poté perfezionare la tecnica dell’acquerello e dello schizzo a penna; a Roma, soprattutto, il Carelli conobbe e fraternizzò con gli allievi dell’Accademia di Francia, forse il primo, vero contatto con ambienti artistici esteri che il nostro ebbe poi modo di frequentare a lungo nel corso della sua vita, ricevendo prestigiose commissioni ed attestati di stima da nobili e sovrani: a Parigi negli anni Quaranta del diciannovesimo secolo per intercessione della regina madre Isabella di Borbone, ad esempio, e colà protetto da Maria Amelia di Francia, Gonsalvo finì poi per dipingere finanche per lo zar di Russia. I favori reali comunque non durarono eternamente, poiché allo studio dell’arte sua Carelli affiancò un testardo impegno politico, partecipando pare prima alle Cinque giornate milanesi e poi combattendo (notizie certa) insieme a Garibaldi e i suoi: il nostro insomma fu costretto per più di un decennio ad una vita peregrina per sfuggire alla polizia borbonica, e sono nel tardo Ottocento egli riuscì a tornare in patria, trovando peraltro un ambiente artistico scosso da tendenze nuove e ben diverse dal suo tradizionale fare pittorico. Le opere del Carelli infatti sono generalmente tutte di composizione, ove cioè elementi certo ripresi dal vero naturale sono composti con una fervida e prolifica immaginazione in scene di assoluta invenzione (secondo i dittami insomma del paesaggismo ancora tardo-settecentesco e ben distante da quanto andavano facendo già dalla metà del diciannovesimo secolo i fratelli Palizzi), e l’opera proposta non fa certo eccezione: il carretto sovraccarico di un vasto catalogo di tipi popolari torna infatti con poche variazioni in più opere dall’autore e di altri membri della sua famiglia, sebbene in questo caso la cura profusa nella sua più minuziosa raffigurazione sia straordinaria; questo soggetto ricorda inoltre la collaborazione che il Carelli intrattenne per un certo tempo con Salvatore Di Giacomo, realizzando l’artista le illustrazioni di alcuni testi di quest’ultimo, e traduce su tela la diffusa tradizione popolare della «juta» (da «sajuta») a Montevergine, pellegrinaggio al celebre santuario mariano da compiersi rigorosamente in carretto, fermandosi di tanto in tanto in tappe ove i locali avellinesi offrono accoglienza e ristoro ai viandanti.
    STIMA min € 5000 - max € 6000

    Lotto 81  

    Carelli Consalvo

    Carelli Consalvo (Napoli 1818 - 1900) Ritorno da Montevergine
    olio su tela
    firma: in basso a destra
    misure: cm 63,5 x 38,5

    Nato sulla collina dell’Arenella, nella stessa casa che si dice fosse stata di Salvator Rosa, Gonsalvo Carelli pure parve destinato a compiere grandi cose in campo artistico: primogenito di una famiglia tutta di artisti, egli infatti appena dodicenne cominciò la propria attività espositiva, subito ottenendo peraltro una medaglia d’argento; tale evento, più unico che raro, pare addirittura che gettasse un qualche scompiglio in famiglia, se è vero che certi malignarono circa una presunta superiorità del fanciullo sull’arte del padre Raffaele, suo maestro ma soprattutto pittore al tempo già maturo e di grande esperienza. Fatto sta che Gonsalvo, ancora assai giovane, approfittò di un pensionato per stabilirsi in Roma, ove fu a breve raggiunto dal fratello Gabriele (del più piccolo dei tre, Achille, si hanno ben poche notizie) e dove, frequentando Bartolomeo Pinelli, il nostro poté perfezionare la tecnica dell’acquerello e dello schizzo a penna; a Roma, soprattutto, il Carelli conobbe e fraternizzò con gli allievi dell’Accademia di Francia, forse il primo, vero contatto con ambienti artistici esteri che il nostro ebbe poi modo di frequentare a lungo nel corso della sua vita, ricevendo prestigiose commissioni ed attestati di stima da nobili e sovrani: a Parigi negli anni Quaranta del diciannovesimo secolo per intercessione della regina madre Isabella di Borbone, ad esempio, e colà protetto da Maria Amelia di Francia, Gonsalvo finì poi per dipingere finanche per lo zar di Russia. I favori reali comunque non durarono eternamente, poiché allo studio dell’arte sua Carelli affiancò un testardo impegno politico, partecipando pare prima alle Cinque giornate milanesi e poi combattendo (notizie certa) insieme a Garibaldi e i suoi: il nostro insomma fu costretto per più di un decennio ad una vita peregrina per sfuggire alla polizia borbonica, e sono nel tardo Ottocento egli riuscì a tornare in patria, trovando peraltro un ambiente artistico scosso da tendenze nuove e ben diverse dal suo tradizionale fare pittorico. Le opere del Carelli infatti sono generalmente tutte di composizione, ove cioè elementi certo ripresi dal vero naturale sono composti con una fervida e prolifica immaginazione in scene di assoluta invenzione (secondo i dittami insomma del paesaggismo ancora tardo-settecentesco e ben distante da quanto andavano facendo già dalla metà del diciannovesimo secolo i fratelli Palizzi), e l’opera proposta non fa certo eccezione: il carretto sovraccarico di un vasto catalogo di tipi popolari torna infatti con poche variazioni in più opere dall’autore e di altri membri della sua famiglia, sebbene in questo caso la cura profusa nella sua più minuziosa raffigurazione sia straordinaria; questo soggetto ricorda inoltre la collaborazione che il Carelli intrattenne per un certo tempo con Salvatore Di Giacomo, realizzando l’artista le illustrazioni di alcuni testi di quest’ultimo, e traduce su tela la diffusa tradizione popolare della «juta» (da «sajuta») a Montevergine, pellegrinaggio al celebre santuario mariano da compiersi rigorosamente in carretto, fermandosi di tanto in tanto in tappe ove i locali avellinesi offrono accoglienza e ristoro ai viandanti.


    1 offerte pre-asta Dettaglio
  • Lotto 82  

    De Maria Francesco

    Popolana
    acquerello su carta
    firma: in basso a destra
    misure: cm 49 x 38
    STIMA min € 600 - max € 800

    Lotto 82  

    De Maria Francesco

    De Maria Francesco (Napoli 1844 - 1908) Popolana
    acquerello su carta
    firma: in basso a destra
    misure: cm 49 x 38


    1 offerte pre-asta Dettaglio
  • Lotto 83  

    De Vivo Tommaso

    Costume tipico
    olio su tavola
    firma: in basso a destra
    misure: cm 27 x 36
    STIMA min € 700 - max € 800

    Lotto 83  

    De Vivo Tommaso

    De Vivo Tommaso (Orta di Atella, CE 1790 ca - Napoli 1884) Costume tipico
    olio su tavola
    firma: in basso a destra
    misure: cm 27 x 36


    1 offerte pre-asta Dettaglio
  • Lotto 84  

    Carelli Raffaele

    Pescatore 1818
    acquerello su carta
    firma e data: in basso a sinistra
    misure: cm 27 x 19
    STIMA min € 500 - max € 600

    Lotto 84  

    Carelli Raffaele

    Carelli Raffaele (Monopoli, BA 1795 - Napoli 1864) Pescatore 1818
    acquerello su carta
    firma e data: in basso a sinistra
    misure: cm 27 x 19


    3 offerte pre-asta Dettaglio
  • Lotto 85  

    Ruggiero Pasquale

    Seduzione
    olio su tela
    firma: in basso a sinistra
    misure: cm 24 x 33
    STIMA min € 1500 - max € 2000

    Lotto 85  

    Ruggiero Pasquale

    Ruggiero Pasquale (San Marzano sul Sarno, SA 1851 - Napoli 1915) Seduzione
    olio su tela
    firma: in basso a sinistra
    misure: cm 24 x 33


    0 offerte pre-asta Dettaglio
  • Lotto 86  

    Dalbono Edoardo

    Mercato a Via Tribunali
    acquerello su carta
    firma: in basso a destra
    misure: cm 46 x 32
    osservazioni: a tergo timbro galleria Fogliato

    Nato in una famiglia benestante (evento meno comune di quanto si pensi per un artista del diciannovesimo secolo) e già addentro al mondo dell’arte (il padre Carlo Tito e lo zio Cesare furono letterati e critici), Edoardo Dalbono poté attingere fin da giovanissimo al vasto materiale presente in casa propria e soprattutto gli fu concesso approfittare della fitta rete di contatti che i suoi avevano nel tempo tessuto con vari, grandi artisti dell’epoca: appresi i primissimi rudimenti in Roma da Augusto Marchetti e Nicola Consoni, nella sua città natale Napoli il nostro studiò prima sotto il pittore d’Elia (o De Lia) e più tardi prese a frequentare lo studio di Nicola Palizzi e Giuseppe Mancinelli, mentre faceva la conoscenza dei vari posillipisti ancora in vita a casa della famiglia Carelli. L’elencazione di tanti personaggi illustri non è qui vana, poiché spiega esattamente i molteplici spunti che Edoardo ricevette nel corso della sua formazione da altrettante esperienze artistiche, improntando così la propria ricerca personale su direzioni talvolta anche assai distanti fra loro. Considerato infatti già al tempo (e argutamente) un tardo continuatore della grande Scuola di Posillipo, coi rappresentanti della quale certo Dalbono condivise uno spirito altamente lirico, sconfinando talvolta con un gusto tutto suo nel fantastico vero e proprio (si pensi al grande capolavoro dell’artista, “La leggenda delle Sirene”), il nostro s’interessò pure alla pura di macchia tipica della Scuola di Resina, frequentando fra l’altro per i propri studi e dipinti gli stessi luoghi in cui si recava generalmente proprio il gruppo di Portici; d’altro canto Edoardo stesso lodava in accorate missive Domenico Morelli, che notoriamente ai porticesi era avverso, e le innovazioni che il grande maestro andava apportando in pittura, spesso identificate con grande sottigliezza e sensibilità. Fu comunque Morelli stesso o forse Giuseppe De Nittis a presentare il nostro ad Adolphe Goupil, con conseguente stipula di un contratto durato otto o nove anni, fino alla morte del celebre mercante francese. Oltralpe, comunque, Dalbono non soggiornò mai a lungo, provando una profonda malinconia e mancanza della propria, adorata città, come si evince da varie sue lettere: questo legame pare in effetti fosse assai viscerale, come se ne incontrano di rado, e probabilmente va fatto risalire già alla più tenera età dell’artista, quand’egli ascoltava le composizioni poetiche popolaresche del padre, profondamente radicate nelle tradizioni e nei costumi partenopei. Anche l’opera proposta rientra chiaramente nella produzione che l’autore ha per tutta la sua carriera dedicato alla propria città, raffigurando un mercatino che evidentemente doveva abitualmente tenersi sotto i portici di Via Tribunali, con svettante sullo sfondo il romanico campanile della Pietrasanta, eretto nel corso del secolo undicesimo riutilizzando elementi del preesistente tempio romano della dea Diana; il porticato invece potrebbe identificarsi con quello gotico di Palazzo d’Angiò, “assemblato” da costruzioni più antiche nel Trecento e nel tempo proprietà di volta in volta di varie famiglie nobili cittadine, fino ad ospitare per un certo periodo finanche l’Accademia Pontaniana. Le protagoniste della scena sono come spesso accade fra le opere di Dalbono esclusivamente donne, schiettamente popolaresche e vagamente seducenti nella loro procace femminilità. Caso non isolato nella produzione dalboniana, l’opera in asta costituisce infine una versione ad acquerello di un soggetto già noto, presente ad olio su tela e di simili dimensioni nella prestigiosa collezione pescarese Di Persio e datata con accreditabile ipotesi fra gli anni Settanta ed Ottanta del diciannovesimo secolo.
    STIMA min € 2000 - max € 3000

    Lotto 86  

    Dalbono Edoardo

    Dalbono Edoardo (Napoli 1841 - 1915) Mercato a Via Tribunali
    acquerello su carta
    firma: in basso a destra
    misure: cm 46 x 32
    osservazioni: a tergo timbro galleria Fogliato

    Nato in una famiglia benestante (evento meno comune di quanto si pensi per un artista del diciannovesimo secolo) e già addentro al mondo dell’arte (il padre Carlo Tito e lo zio Cesare furono letterati e critici), Edoardo Dalbono poté attingere fin da giovanissimo al vasto materiale presente in casa propria e soprattutto gli fu concesso approfittare della fitta rete di contatti che i suoi avevano nel tempo tessuto con vari, grandi artisti dell’epoca: appresi i primissimi rudimenti in Roma da Augusto Marchetti e Nicola Consoni, nella sua città natale Napoli il nostro studiò prima sotto il pittore d’Elia (o De Lia) e più tardi prese a frequentare lo studio di Nicola Palizzi e Giuseppe Mancinelli, mentre faceva la conoscenza dei vari posillipisti ancora in vita a casa della famiglia Carelli. L’elencazione di tanti personaggi illustri non è qui vana, poiché spiega esattamente i molteplici spunti che Edoardo ricevette nel corso della sua formazione da altrettante esperienze artistiche, improntando così la propria ricerca personale su direzioni talvolta anche assai distanti fra loro. Considerato infatti già al tempo (e argutamente) un tardo continuatore della grande Scuola di Posillipo, coi rappresentanti della quale certo Dalbono condivise uno spirito altamente lirico, sconfinando talvolta con un gusto tutto suo nel fantastico vero e proprio (si pensi al grande capolavoro dell’artista, “La leggenda delle Sirene”), il nostro s’interessò pure alla pura di macchia tipica della Scuola di Resina, frequentando fra l’altro per i propri studi e dipinti gli stessi luoghi in cui si recava generalmente proprio il gruppo di Portici; d’altro canto Edoardo stesso lodava in accorate missive Domenico Morelli, che notoriamente ai porticesi era avverso, e le innovazioni che il grande maestro andava apportando in pittura, spesso identificate con grande sottigliezza e sensibilità. Fu comunque Morelli stesso o forse Giuseppe De Nittis a presentare il nostro ad Adolphe Goupil, con conseguente stipula di un contratto durato otto o nove anni, fino alla morte del celebre mercante francese. Oltralpe, comunque, Dalbono non soggiornò mai a lungo, provando una profonda malinconia e mancanza della propria, adorata città, come si evince da varie sue lettere: questo legame pare in effetti fosse assai viscerale, come se ne incontrano di rado, e probabilmente va fatto risalire già alla più tenera età dell’artista, quand’egli ascoltava le composizioni poetiche popolaresche del padre, profondamente radicate nelle tradizioni e nei costumi partenopei. Anche l’opera proposta rientra chiaramente nella produzione che l’autore ha per tutta la sua carriera dedicato alla propria città, raffigurando un mercatino che evidentemente doveva abitualmente tenersi sotto i portici di Via Tribunali, con svettante sullo sfondo il romanico campanile della Pietrasanta, eretto nel corso del secolo undicesimo riutilizzando elementi del preesistente tempio romano della dea Diana; il porticato invece potrebbe identificarsi con quello gotico di Palazzo d’Angiò, “assemblato” da costruzioni più antiche nel Trecento e nel tempo proprietà di volta in volta di varie famiglie nobili cittadine, fino ad ospitare per un certo periodo finanche l’Accademia Pontaniana. Le protagoniste della scena sono come spesso accade fra le opere di Dalbono esclusivamente donne, schiettamente popolaresche e vagamente seducenti nella loro procace femminilità. Caso non isolato nella produzione dalboniana, l’opera in asta costituisce infine una versione ad acquerello di un soggetto già noto, presente ad olio su tela e di simili dimensioni nella prestigiosa collezione pescarese Di Persio e datata con accreditabile ipotesi fra gli anni Settanta ed Ottanta del diciannovesimo secolo.


    1 offerte pre-asta Dettaglio
  • Lotto 87  

    Caprile Vincenzo

    Bambina 1878
    olio su tela applicata a cartone
    firma e data: in basso a destra
    misure: cm 67 x 35
    STIMA min € 2500 - max € 3000

    Lotto 87  

    Caprile Vincenzo

    Caprile Vincenzo (Napoli 1856 - 1936) Bambina 1878
    olio su tela applicata a cartone
    firma e data: in basso a destra
    misure: cm 67 x 35


    3 offerte pre-asta Dettaglio
  • Lotto 88  

    Cercone Ettore

    Odalisca
    olio su tela
    firma: in alto a sinistra
    misure: cm 100 x 70
    STIMA min € 3000 - max € 3500

    Lotto 88  

    Cercone Ettore

    Cercone Ettore (Messina 1850 - Sorrento, NA 1896) Odalisca
    olio su tela
    firma: in alto a sinistra
    misure: cm 100 x 70


    0 offerte pre-asta Dettaglio
  • Lotto 89  

    de Sanctis Giuseppe

    Profilo femminile
    olio su tela
    firma: in basso a sinistra
    misure: cm 50 x 31

    Solo grandi cose potevano attendere colui che fu tenuto a battessimo addirittura dal grande Giuseppe Verdi, ed in effetti la carriera di Giuseppe de Sanctis fu costellata di successi ed apprezzamenti, in particolare nella natia Napoli, ove la mano del pittore è ancora visibile in alcuni decorazioni del Gran Caffè Gambrinus (noto cantiere per tanti artisti locali nel tardo Ottocento) nonché del Circolo Artistico Politecnico, che il nostro frequentò assai assiduamente lasciando splendidi ricordi negli altri avventori.
    Indirizzato inizialmente alle scene di composizione storica o orientale, seguendo l’evoluzione dell’arte del suo grande maestro Domenico Morelli, de Sanctis risentì poi fortemente delle tendenze diffuse al suo tempo in Francia ed Inghilterra, ove il pittore viaggiò molto incontrando personaggi del calibro di Gérôme e Alma-Tadema, nonché il celeberrimo mercante Goupil.
    L’opera proposta ben esemplifica un altro grande talento che poi il suo autore sviluppò nel corso della propria carriera, ovvero la grande abilità nel ritratto: pur non potendo infatti risalire con certezza alla fanciulla di schietta bellezza qui ritratta, è magistrale la resa dei suoi lineamenti e del suo cipiglio, pensieroso e severo ad un tempo. Ancora più sorprendente è la grande modernità che spicca nella porzione inferiore della tela, ove le vesti della modella sono panneggiate con grande sintesi pittorica, a ricordare la rapidità d’esecuzione ai tempi del de Sanctis di gran moda nei territori d’Oltralpe fra gli altri artisti suoi conterranei o stranieri.
    STIMA min € 2000 - max € 3000

    Lotto 89  

    de Sanctis Giuseppe

    De Sanctis Giuseppe (Napoli 1858 - 1924) Profilo femminile
    olio su tela
    firma: in basso a sinistra
    misure: cm 50 x 31

    Solo grandi cose potevano attendere colui che fu tenuto a battessimo addirittura dal grande Giuseppe Verdi, ed in effetti la carriera di Giuseppe de Sanctis fu costellata di successi ed apprezzamenti, in particolare nella natia Napoli, ove la mano del pittore è ancora visibile in alcuni decorazioni del Gran Caffè Gambrinus (noto cantiere per tanti artisti locali nel tardo Ottocento) nonché del Circolo Artistico Politecnico, che il nostro frequentò assai assiduamente lasciando splendidi ricordi negli altri avventori.
    Indirizzato inizialmente alle scene di composizione storica o orientale, seguendo l’evoluzione dell’arte del suo grande maestro Domenico Morelli, de Sanctis risentì poi fortemente delle tendenze diffuse al suo tempo in Francia ed Inghilterra, ove il pittore viaggiò molto incontrando personaggi del calibro di Gérôme e Alma-Tadema, nonché il celeberrimo mercante Goupil.
    L’opera proposta ben esemplifica un altro grande talento che poi il suo autore sviluppò nel corso della propria carriera, ovvero la grande abilità nel ritratto: pur non potendo infatti risalire con certezza alla fanciulla di schietta bellezza qui ritratta, è magistrale la resa dei suoi lineamenti e del suo cipiglio, pensieroso e severo ad un tempo. Ancora più sorprendente è la grande modernità che spicca nella porzione inferiore della tela, ove le vesti della modella sono panneggiate con grande sintesi pittorica, a ricordare la rapidità d’esecuzione ai tempi del de Sanctis di gran moda nei territori d’Oltralpe fra gli altri artisti suoi conterranei o stranieri.


    0 offerte pre-asta Dettaglio
  • Lotto 90  

    Migliaro Vincenzo

    Luciana
    olio su tela
    firma: in basso a destra
    misure: cm 32 x 24
    osservazioni: a tergo timbro galleria Giosi
    STIMA min € 2500 - max € 3000

    Lotto 90  

    Migliaro Vincenzo

    Migliaro Vincenzo (Napoli 1858 - 1938) Luciana
    olio su tela
    firma: in basso a destra
    misure: cm 32 x 24
    osservazioni: a tergo timbro galleria Giosi


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