Descrizione Lotto
Arlecchino con chitarra 1971
olio su tavola
firma e data: in basso a destra
misure: cm 54,5 x 98
osservazioni: a tergo cartiglio e timbri galleria Lauro
L’esperienza artistica di Emilio Notte riesce tutt’oggi a stupirci per la ricchezza di spunti che il maestro riuscì ad assorbire sperimentando di fatto tutte le tendenze pittoriche tardo-ottocentesche e del ventesimo secolo. Fra queste ultime, come è stato giustamente osservato non molti anni fa, è stata maggiormente indagata nel proprio rapporto con l’autore cegliese il Futurismo, cui Notte aderì come è noto nel corso del lungo soggiorno fiorentino: il nostro infatti si formò a Napoli solo nell’anno 1906, presto costretto a trasferirsi in Toscana a causa dei frequenti spostamenti per lavoro del padre; diplomatosi nel 1912, il giovane Emilio dedicò la prima parte della propria produzione principalmente a temi veristi e sociali, condividendo gli interessi (ed in parte lo stile) del sodale Lorenzo Viani. Già l’anno successivo, tuttavia, Notte faceva la conoscenza di Boccioni, Balla e Carrà al Teatro Verdi di Firenze, avviandosi dunque verso una adesione a certi dittami futuristi che alla fin fine non furono però mai assorbiti del tutto, tanto sul piano dei contenuti (il pittore di Ceglie fu sia antibellicista sia contrario alla mitizzazione della macchina) che della forma, visto che il nostro preferì mantenersi su più salde basi geometrico-costruttiviste piuttosto che abbandonarsi al puro dinamismo futurista, spesso tendente all’astrattismo; in merito a quest’ultimo punto non si può trascurare del resto l’influenza che su tutti i futuristi fiorentini esercitò la visione di Cézanne, mediata nel caso specifico da quella di Derain, un pittore sostanzialmente cubista: se ne deduce che anche con quest’altra, grande avanguardia artistica del ventesimo secolo Notte intrattenne un lungo e complesso rapporto. Quando infatti con la fine del secondo conflitto mondiale non fu più pensabile perseguire ancora gli obiettivi del movimento novecentista della Sarfatti, che aveva tessuto troppi legami col Regime e voleva imporre chiare certezze in un mondo ormai profondamente in crisi, Emilio intraprese un proprio, personale superamento di Novecento, pervenendo ad una sintesi pittorica che a partire dagli anni Cinquanta può definirsi prima (ma non senza un certa semplificazione) post-cubista, non dissimile da quella coeva di Guttuso, e neocubista poi, intorno cioè agli anni ’70.
L’opera proposta in asta appartiene pertanto proprio in virtù della sua datazione a quest’ultimo, prolifico filone produttivo del suo autore, come è del resto evidente dalla chitarra, che ritorna dalla grande, omonima tela del 1955 andata in mostra all’Accademia di Belle Arti di Napoli circa dieci anni fa. La geometrizzazione sintetica cubista si piega qui tuttavia ad una poetica ed una tavolozza più proprie dell’Espressionismo, cui Notte ebbe modo di rifarsi nel corso di un po’ tutta la sua carriera. Anche il soggetto si ritrova di frequente nella produzione dell’artista, declinato via via secondo le tendenze del momento: la maschera è l’enigma ed al contempo lo specchio dell’uomo che non riesce mai ad essere fedele a se stesso, secondo una interpretazione psicanalitica non distante da quella di tanti altri artisti, pittori e non del panorama culturale italiano del ventesimo secolo. Curioso è che al più ovvio Pulcinella, vista la stretta partecipazione di Notte alla vita artistica partenopea, sia preferito invece Arlecchino; curioso è anche che la nota machera della commedia dell’arte, comunemente rappresentata in una vera e propria esplosione di vitalità, sia catturata in un momento di stasi meditativa, abbandonato il proprio strumento musicale: forse l’autore percepiva di star trascorrendo l’ultima fase del suo percorso e ne assaporava, dopo tanti sforzi artistici, il forzato riposo.